lunedì 28 settembre 2015

Il mio stile non è adatto a tutti

Pubblicato nel vecchio Blog il: 06.11.2014 16:28
Il perbenismo culturale che fonda le sue basi su una relativistica moralità e virtuosità ha portato l’evolversi dei concetti di uguaglianza e parità a livelli tal mente astratti che siamo giunti al convincimento grazie al quale è buono  pensare che: Siamo tutti uguali.
Orbene, guardatevi. Guardate le vostre stesse foto di qualche anno fa, la semplicità della natura evidenzierà con grande esultanza l’idiozia presente all’interno di quel semplicistico termine: Uguaglianza, voi/ noi non siete/siamo nemmeno minimamente uguali a voi/noi stessi di qualche anno fa, figuriamoci se possiamo essere uguali all’interno di una società, all’interno di un insieme di individui che non a caso sono, appunto, individui. Ovvero persone talmente uniche che rasentano l’archetipo di uno.
Ed è ciò una grande fortuna! Pensate a quale noia si ridurrebbe la nostra esistenza se vivessimo in un ipotetico mondo di pari, dove tutti eseguiamo gli stessi compiti e ragioniamo seguendo le stesse direttive, ci comportassimo allo stesso modo e avessimo gli stessi identici gusti artistici e via dicendo? E pensate ancora cosa accadrebbe se, non ci fossero delle singolarità talmente estreme da portare la propria essenza al di sopra del comune ammasso di individui che sognano un utopica uguaglianza?  La storia stessa della nostra umanità non avrebbe mai avuto inizio! E’ soltanto nel momento in cui un uomo, il primo uomo rousseauniano, prese coscienza di sé e della sua eccelsa capacità di essere esistenza stessa del paradosso: infinito nel finito, di contenere la vastità intellettuale, capace di guardare l’infinito, di sfiorarlo ad ogni pensiero eppure egli rimaneva uno solo, nonché unicamente uno! È stato allora che questo patetico terzo pianeta ha avuto la fortuna di vedersi calpestato dai piedi di Sargon di Akkad, Hattusili, di Ramses II, Ciro il Grande e del non meno Alessandro Magno!
Re guerrieri, che si scagliavano contro il nemico in prima fila,( non certo come i nostri burocrati, intellettuali politici che mandano i nostri giovani, i nostri figli a combattere pur di conservare il loro misero potere economico nel caldo delle loro case, ma questo sarà un altro argomento sul quale parlare ;-) ). Re guerrieri  le cui basi scolastiche facevano loro riconoscere la diversità della plebe ed in tal modo la diversa formazione, educazione militare da offrire ai propri soldati. Ed è proprio qui che mi riallaccio alle arti marziali.
Così come non siamo uguali per nascita, tantomeno per formazione intellettuale, né fisica e via dicendo non siamo TUTTI soldati e le arti marziali, da quando il primitivo uomo ha iniziato a raggrupparsi per dare battaglia alle bestie feroci o ad altri uomini, sono tecniche e metodi propri dei soldati o almeno di chi, il mestiere delle armi viene naturale. Si, è vero, possiamo anche tentare di aggrapparci a fantomatiche argomentazioni del tipo religioso/filosofico dal sapore perbenista/newage, cercando di dire: le arti marziali sono più che mere tecniche di combattimento, sono storia, filosofia, e tanti di quei bla, bla, bla detti e ri sentiti da chi il mestiere delle armi conosce solo ed esclusivamente a chiacchiere o al massimo con qualche libro del genere “arti marziali per impediti”.
Guardatevi allo specchio, trovate in voi gli attributi necessari del guerriero? Siete pronti ad abbattere il vostro avversario? O forse credete che basti solo vincerlo in qualche garetta della federazione del paesino? La pratica di un arte marziale richiede degli attributi ben specifici quali: forza, elasticità, capacità di sopportare il dolore per lunghi periodi di tempo, capacità di concentrarsi anche sotto stress, anche quando si subisce un dolore così acuto dove tutti gli altri si arrenderebbero. In fine, un praticante che non sia forte ed elastico ha ben poca strada da fare nel mondo delle arti marziali, a tal motivo ogni disciplina porta con sé un bagaglio tecnico in grado di allenare al meglio lo studente a quella disciplina, ed è proprio per questo motivo che noterete: a Settembre il boom delle iscrizioni, con le nuove reclute, entusiasti dopo aver visto l’ultimo film di Bruslì, che non vedono l’ora di fare i salti mortali e diventare un Termineitor capace di disarmare un terrorista armato di un M16 o meglio di un lancia razzi, mentre a Giugno se vi contate con le dita della mano, vi avanzeranno di certo diverse poiché in molti avranno già mollato!
Qualora sentirete affermare, con sognante sguardo, il vostro maestro/istruttore: la mia disciplina è adatta a tutti, non abbiate paura ad alzare il vostro dito indice e fargli notare che forse sta sopravalutando l’umanità o semplicemente non ha la benché minima idea di quel che sta blaterando, cosa quest’ultima assai più probabile.
Analizziamo per un momento la si fatta frase: la mia disciplina è adatta a tutti.
Ora, se è la MIA disciplina, grazie alla logica aristotelica (che vanta solo qualche secolo), possiamo affermare con certezza infallibile che non è la tua disciplina, tanto meno quella di “tutti” poiché essa è appunto solo MIA. Insomma, presupponiamo che mi sia addestrato per diverso tempo ad essa, fino al punto di aver interiorizzato ogni singolo particolare ed infine creando appunto la MIA disciplina. Un po’ come se mi fossi fatto da solo un vestito su misura, con tutti gli errori ed incongruenze che questo comporta (un conto e farselo fare dal sarto esperto nel suo mestiere, un altro e farsi da soli il proprio vestito). Ora che quel vestito è compiuto, dopo tutto il tempo ad esso dedicato noi cosa faremo? Lo regaliamo ad un altro? Magari un po’ più alto di noi ed in sovrappeso; ecco proprio in quel momento, prima di farglielo indossare per la prima volta, magari dovrei ricordargli di dimagrire qualche etto, ma alla fine quel vestito gli starebbe lo stesso stretto. Il mio vestito quindi non gli è adatto.
Non bisogna essere buoni per forza, ma possiamo scegliere di essere sinceri almeno intellettualmente parlando e dire: il mio stile non è adatto a tutti, non è una discriminazione, quanto una presa di coscienza data dalla più pura ed eccelsa esperienza: la fatica espressa nel comporre il proprio vestito. Certo è che se il vostro scopo è invece vendere a quante più persone possibili la credenza nella loro capacità di praticare il vostro stile, mbeh allora conviene che continuate ad ingannarle come avete fatto fino ad oggi, miei cari maestri di arti marziali.

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