martedì 29 settembre 2015

In Verità Esistono Solo Bugie

Pubblicato nel vecchio Blog il: 16.09.2015 15:54
***Questa, è una parte del saggio "Sulla Metafisica della Morale" del M° Jaime Luis Vizconde, l'articolo è di proposito mostrato solo in parte***
Molto tempo fa, mentre ero immerso nelle mie letture pomeridiane, la quiete della stanza fu squassata dall’arrivo repentino di un uomo, nel suo volto l’espressione della frustrazione, nella sua parola la certezza della sua esperienza e, nel suo animo, l’amarezza della consapevolezza di ciò che andava affermando.
tutti mentono!
Aveva offerto la sua vita alla ricerca del bene, il suo nobile e paziente animo era, non fiducioso ma speranzoso, egli  aveva la speranza, pur vaga e minima che sia mai stata, di compiere il bene affinché, quale un nuovo virus, quasi simile all’olio appena caduto sulla maglietta, si spandesse nella società, egli credeva che se un uomo agiva nel bene, compiva il bene, altri lo avrebbero imitato, ed il bene si sarebbe sparso nella sua comunità.
Non è forse al bene, che l’animo umano tende? No.
Tutti mentono, io sono come tutti e quindi mento. Un sillogismo che avrebbe fatto sorridere Aristotele.” Una frase appena mormorata tra le labbra, anche la sua ultima certezza era svanita. Cos’era un uomo se non poteva fare affidamento alla sua stessa parola?
Quell’uomo era mio padre.
Quella banale affermazione fu accantonata in quella parte di memoria dedicata al ricordo, e credetti che il demone del dubbio fossi finalmente sconfitto e allontanato dal sapere, dalla conoscenza certa prodotta dallo studio scolastico delle scienze, là dove lo stesso Descartes quattro secoli prima aveva stabilito le fondamenta di un metodo che apparve universale, veritiero.
Gli anni son passati, l’esperienza anche, cominci a guardarti in dietro e la strada fatta appare certamente più lunga rispetto a quella che scorgi all’orizzonte luminoso. Pensi al passato mentre la marcia trionfale di Verdi risuona in testa, guardi il presente ed è l’Adagio di Albinoni che prende il sopravvento. Stiamo morendo e molti di noi non sono altro che morti vaganti ancora in un mondo che crede di essere vivo.
Dubium sapientiae initium
E’ davvero così, è il dubbio l’origine della sapienza? Descartes dubita, egli riconosce l’origine della ricerca del suo metodo dal fatto di riconoscere in sé il dubbio e i molteplici errori a cui lo studio scolastico lo aveva portato, riscoprendosi un neo Socrate, egli afferma:
Mi trovai intricato in tanti dubbi ed errori, che mi sembrava di aver tratto nel tentativo di istruirmi un unico utile: la crescente scoperta della mia ignoranza.”
Ora dopo che un bel po’ di secoli ci separano da quel mirabile intelletto che è stato, possiamo continuare ad accettare il dubbio quale origine della conoscenza? Guardando al quotidiano, che era poi il lato pratico cui Descartes voleva applicare il proprio metodo, è evidente il fatto che il dubbio in quanto tale sia spinta emotiva, slancio intellettuale verso l’inizio di una ricerca, dal dubbio non può nascere nessuna sapienza se non quella già evidenziata dallo stesso Descartes, ovvero il fatto di dubitare.
Una volta che dubitiamo, possiamo scegliere se ingaggiare la sfida intellettuale appena nata o limitarci a giocare in mezzo al dubbio con certezze altrettanto fallimentari.
Il fatto è che una volta “risolto” il dubbio, ed acquisita una certa conoscenza l’uomo è ancora in possesso di un'altra arma contro l’umanità: il suo libero arbitrio.
Col libero arbitrio l’uomo sceglie di ingannare, sceglie di mentire ed è impossibile dubitare del fatto che l’uomo mente, e mentirà costantemente, quotidianamente, instancabilmente. Non già per scelta, ma perché facente parte della natura stessa. La quale è la più grande ingannatrice al mondo.
La bugia della natura
Le nostre scienze si sono ampiamente impegnate a ritrovare la verità nascosta all’interno della natura, la sostanza alla base di tutte le cose e le leggi che la controllano, orbene, più ci sforziamo nella ricerca della verità ultima, più i nostri traguardi scientifici ci dimostrano come in verità non sia tutto una semplice bugia naturale. In natura ogni cosa mente: Una semplice farfalla ha il bisogno di mentire per sopravvivere, noi la chiamiamo mimetizzazione (dal greco io imito) ma i geometridi “sanno” che è questione di vita o di morte, affidano così la loro intera esistenza alla loro bravura nel mimetizzarsi col terreno, le foglie e cortecce degli alberi, la loro sopravvivenza come specie passa attraverso la naturale capacità di mentire.
Talvolta appare divertente come, ad esempio, l’amore per l’antropomorfismo abbia portato diverse persone ad attribuire ai cani, qualità e atteggiamenti prettamente umani, questo smisurato bisogno di sentirsi amati gli ha portati a battersi, anche con una certa fierezza, pur di sostenere l’infantile credenza che il cane,  lo ricambi dell’amore, che essi cercano di trasmettere loro. Ora, benché l’argomento “amore” sia già ampiamente studiato nel mio “Apologia dell’amante”*, basterà qui ricordare come, possiamo affermare che l’amore sia risultato di una percezione elaborata ed studiata da un intelletto pensante, in grado di possedere il libero arbitrio: Io affermo di “amare”, perche percepisco in me delle trasformazioni emotivo fisiologiche, le quali interpreto o cerco di rispondermi attraverso la parola “amore” (in pratica potrei benissimo chiamarlo bisogno di cioccolata, sarebbe uguale, ma il nostro innato romanticismo lo chiama amore). Possiamo quindi notare come per principio di evidenza il cane non possieda il “pensiero” in qualità del fatto che non possiede neanche il libero arbitrio, deducibilmente lo stesso cane non potrà quindi interpretare le sue informazioni sensoriali in definizione di terminologie simili al concetto “amore”, quel che noi, esseri umani facciamo è attribuire al cane delle qualità prettamente umane, ci inganniamo consapevolmente  pur di credere che il cane ricambi il nostro amore con “amore”. Quel atteggiamento amorevole che il cane manifesta verso il padrone non è altro che semplicistico istinto di sopravvivenza, nonché riconoscenza del “maschio alfa” del clan: per ogni cane, il proprio padrone non è altro che il maschio alfa del suo sistema chiuso, la strategia di dimostrare reverenza ed “affetto” verso il padrone non è affatto diversa dal cercare di ingannarlo costantemente, quotidianamente, pur non facendolo con l’intento stesso di ingannare, poiché ovviamente il cane non può scegliere di ingannarci, semplicemente lo fa. Ecco quindi la naturale bugia, quasi fisiologica e certamente necessaria ai fini della sopravvivenza dell’essere inferiore.
La bugia della natura umana
“La loro bocca dice menzogne
E alzando la destra giurano il falso.”
Preghiera del Re per la vittoria e per la pace
Cos’è l’uomo? Qualcuno disse è un bipede nudo ed ebbe in risposta un pollo spennacchiato lanciato in faccia. Qualcuno altro affermò la dualità  e la separazione tra l’uomo materia e l’uomo idea, ed infine un altro lo superò riunendo la dualità e unificandola affermando che reali sono gli individui e che nella realtà va ricercata la vera essenza.** Da allora in molti ci siamo chiesti cos’è l’uomo, taluni rispondendo in base ad specifiche caratteristiche quali: l’uomo è un animale sociale, l’uomo è il lupo di altri uomini, ecc … Ed ognuna di queste affermazioni si avvalgono della qualità di apparire più o meno corrette e valide, ma un affermazione che non sia supportata dall’evidenza concreta e indiscutibile che essa sia tale, un affermazione alla quale si trovi uno ed uno soltanto  dubbio non è vera,  quindi noi possiamo dire è vero che l’uomo è un animale sociale, ma l’esperienza ci dimostra come in lungo ed in largo nella storia delle civiltà si siano sviluppati i movimenti asceti, evidenza del fatto che l’affermazione uomo sociale non è del tutto vera. L’uomo è il lupo di un altro uomo, è un affermazione che appare veritiera, ma possiamo trovare prove e dimostrazioni che almeno una volta, almeno u solo uomo è mai stato “buono”, quindi anche questa affermazione non è del tutto vera.
L’uomo è un bugiardo. Signori, non troveremo modo per smentire questa affermazione, non si è mai dato il fatto che sia esistito un uomo il quale non abbia mai mentito. Tutti, mentiamo. Io affermo quindi l’uomo è un animale  che mente, alla pari del cogito, l’uomo non solo è colui che pensa, ma è anche e soprattutto colui che mente. Da questa proposizione …
*Con il nome di “Apologia dell’amante” sono raggruppati una serie di scritti propri del M° Jaime Luis Vizconde, dove viene studiato e analizzato l’argomento dell’amore, sia da un  punto di vista storiografico, che da quello psicologico, metafisico e fisiologico.
**Se riconoscete a chi mi riferisco, segnalatelo nei commenti e mi complimenterò con voi pubblicamente.

Sulle Orme di Marte

Pubblicato nel vecchio Blog il: 03.09.2015 18:57
Con quanta facilità è possibile ritrovare dei marzialisti (dicasi di personaggi alquanto simpatici che affermano di praticare arti marziali, ecc) da bar dello sport, soprattutto coloro che prediligono la valenza sportiva delle arti marziali/ sport da combattimento, affermare a pieni polmoni frasi siffatte: “Arti marziali, arti del dio marte, quindi della guerra”? Per subito dopo aggiungere: “Se non ti meni o fai sparring o fai gare, non pratichi arti marziali!”(di solito, nelle versioni feisbucchiane, vanno aggiunte una notevole quantità di punti esclamativi e maiuscole a go go, così per “menare” un po’ la nobile lingua del sommo poeta). Si tanta assolutistica convinzione può anche apparire veritiera ai profani e tra coloro, poveri di studio e  spirito di ricerca, ma soffermiamoci proprio su questa qualunquista affermazione, ed analizziamo mettendo in evidenza come, per l’ennesima volta, gli assolutismi e le verità che ne pretendono tale caratteristica non siano se non del tutto, almeno in parte, errate e quindi siano verità non vere (un po’ come questo blog, dove la verità è menzogna, ricordate?).
Marte dio della guerra, è una semplice affermazione la quale di per sé appare veritiera e nota a tutti, il problema, signori miei, è che esporre la verità vuol dire anche cercare di mostrarla (e non necessariamente dimostrarla) in tutte le sue angolazioni, o per meglio dire: sotto tutti i punti di vista, poiché una cosa è tale se resta coerente a se stessa per un determinato tempo/spazio, quindi Marte dio della guerra è una proposizione giusta, ma incompleta e questo forse è anche colpa dell’uomo stesso e della sua semplicistica capacità di accontentarsi con ciò che ritiene facilmente sufficiente.
Il Marte romano è ben diverso dalla sua controparte greca Ares, nonché venga ad esso associato/assimilato. Là dove Ares è, fin dai suoi origini, pura forza distruttiva: signore assetato ed insaziabile di sangue e fragore, di rissa ed assassinio (ricordiamo l’epiteto di Miaiphonos, colui che è machiato di sangue e Brotoloigos, il distruttore di uomini) Il Dio Marte ne acquisisce tali caratteristiche soltanto in un periodo assai tardo: il I secolo a.C. prima di allora possiamo riconoscere in Marte attributi ben più benevoli, pur essendo sempre e comunque collegato con le arti belliche: E’ signore del tuono, della pioggia, nonché protettore dalle calamità agricole, in questo ambito ci viene mostrato un Marte più vicino a compiti di fertilità  della natura e non a caso egli è anche il dio della primavera.
 Ora se pensiamo alla primavera, di primo acchito non ci verrebbe mai in mente di pensare ad attività “violente” o minimamente connesse alle arti belliche, questo per il semplice fatto che in passato, l’inizio della primavera segnava anche l’inizio del periodo delle guerre, poiché le piccole città stato e anche gli imperi più grandi come quello persiano, egiziano e romano, dovevano affrontare le azioni belliche in un momento dell’anno il più favorevole possibile, sia per la gestione logistica e  tattica che “il muovere eserciti” richiedeva.
Sia evidente quindi come la peculiarità di “Dio della guerra” non sia una caratteristica univoca ed assoluta al noto personaggio, anzi essa non è altro che una delle tante qualità e/o attributi ascrivibili al dio, se poi vogliamo soffermarci alla versione greca del dio della guerra, sarà evidente il fatto di come non sia solo Ares l’unico, vero dio della guerra, ma ne rappresenti solo la parte più brutale e violenta della stessa (da notare anche il fatto di come, la nascita e la “casa” di Ares trovi luogo in Tracia, zona considerata dagli stessi greci tra le più barbariche  e meno civilizzate), mentre aspetta ad Athena (anch’essa dea della guerra, della conoscenza e dell’artigianato) le caratteristiche più nobili della guerra, ovvero: la strategia e la tattica. Nella tradizione greca è facilmente riscontrabile degli scontri tra Ares ed Athena, notando come gli stessi finiscano sempre con la vittoria della dea nei confronti del fratello, proprio grazie all’astuzia (Metis, che ricordiamo ne è la madre), quindi sia evidente come già in tempi antichi il mito vuole l’intelletto superiore alla semplice brutalità, da qui la superiorità umana pretesa dai vari Strateghos ed Hegemon, strateghi e comandanti in capo dei vari eserciti di area Egea, quali alunni di Athena, dea della conoscenza (No, l’Athena dea della giustizia e della pace dei cavalieri dello zodiaco non vale in questo contesto).

Da simile discorso risulterebbe evidente quindi, come non sia possibile e del tutto corretto applicare il termine “arti marziali” esclusivamente in senso bellicoso e quindi nella sua accezione di arti dedite strettamente ed unicamente alla guerra, poiché non credo che voi, O moderni marzialisti del web,  abbiate abbinato allo studio delle mere tecniche di lotta, confronto o chi che sia, lo studio della strategia, della tattica e delle arti in generale, a meno che non vi consideriate dei bruti spasimanti della violenza e stancabili ricercatori di risse per il gusto delle stesse.
Ci rendiamo quindi conto che con la terminologia di Arti Marziali, non stiamo solo definendo il semplicistico metodo di combattimento e gli accorgimenti puramente  brutali degli stessi, quanto un insieme culturale molto più vasto: a Sparta, un guerriero per diventare tale doveva studiare all’agoghé musica, matematica, danza, eloquenza, tutte caratteristiche che unite alla preparazione fisica e militare dovevano formare, se non sarebbe meglio usare il termine costruire, il guerriero perfetto (pretesa quest’ultima, che la storia ci dimostrerà del tutto infantile), mi chiedo di tutte quelle persone fomentate che si riempiono la bocca affermando di praticare ad esempio il Pancrazio, se siano realmente capaci a svolgere una semplice operazione aritmetica (questo quesito rimane una semplice personale curiosità) o prodigiarsi nell’arte della retorica? In quanti di coloro che professano la cultura marziale di area mediterranea (tra cui troviamo tutti i vari ricostruttori storici marziali che vogliono farci credere di aver riscoperto le ancestrali tecniche del pancrazio o del pugilato) sono veramente coscienti di quel che vuol dire studiare le arti militari della cultura greco romana?
Lo studio delle antiche religioni può quindi far luce su un argomento a prima vista banalmente scontato, dimostrando come in realtà ci sia molto di più del semplice affermare: Arti marziali, da Marte dio della guerra. A tal proposito vorrei ricordare ai miei lettori che quella greco romana è una cultura assai moderna e a mala pena durata qualche secolo (se consideriamo il medioevo ellenico possiamo al massimo azzardare 1000/1500 anni di civiltà ellenica, mentre simile misura appare se sommiamo l’era repubblicana e quella imperiale di Roma), tempi storici di ben poca importanza se a confronto con civiltà antiche già al tempo dello stesso Leonida (per i fanatici della grafic novel) o Cesare, Civiltà come quelle assiro babilonesi, ittite, medi e ovviamente quella egizia. Se per pura curiosità vi capita di studiare leggermente queste antiche civiltà, quasi all’origine del tempo, potreste notare come quelle divinità preposte alla definizione di “dio della guerra” in realtà assumevano anche ruoli e compiti assai diversificati, per una concezione locale e ben determinata nella storiografia umana, possiamo affermare, con la dovuta cautela che la guerra di per se era ben divisa tra i compiti dei vari dei appartenenti ai diversi pantheon.
Dunque ho analizzato la comune locuzione all’origine delle arti marziali, fornendovi nuovi indizi su cui meditare, vorrei ora porre l’attenzione su un particolare, il quale, a chi tra voi sia assai scaltro sarà apparso subito evidente: Ho trattato l’argomento in chiave politeista, come si comporta la “guerra” e gli “attributi guerreschi” in chiave monoteista? All’origine dell’unico Dio sono riscontrabili le capacità guerriere?
Se volete proseguire questo viaggio insieme a me lasciate un commento al mio blog, ed eventualmente segnalatemi cosa vorresti approfondire. Sarò lieto di rispondervi.
N.B. sono certo che da questo scritto ne trarrò molti attacchi e accuse, come capita al solito su internet. Ma dato che i guerrieri da tastiera preferiscono guerreggiare premendo i tasti non mi preoccupo e quindi lo pubblico lo stesso. 

Sull'Uguaglianza degli opposti

Pubblicato nel vecchio Blog il: 10.03.2015 11:23
Abbiamo tutti esperienza di ciò che appare uguale e ciò che invece non lo è, esperienza talmente palpabile che d’improvviso diventa impercettibile, poiché l’abitudine non ne valuta più la reale importanza. Eppure dall’origine delle prime civiltà l’animo umano, il suo intelletto, ha cercato in ogni modo di esprimere attraverso le umane parole e simbolismi vari come, non vi è al mondo due oggetti in verità uguali e altrettanti del tutto differenziati. Alla domanda “quali sono gli opposti?”, i fantastici filosofi del new age risponderebbero: “sono lo Yin e lo Yang del tao, dove yin è femminile e yang è maschile.” E fin qui nessun problema, ma cerchiamo di andare oltre la scolastica affermazione  riguardo ciò che è di per sé yin e di ciò che è di per sé lo Yang:
Possiamo definire ciò che esiste e ciò che non esiste. Questa è una capacità tutta umana , dimostrazione insostituibile del miracolo dell’intelletto, poiché non troverete altra pianta o bestia in grado di definire ciò che non esiste (almeno nel nostro mondo), è proprio la nostra capacità di esprimere il non essere che ci rende intelligenti. Essere e non essere sussistono quindi nell’universo, un universo governato da leggi che a mala pena abbiamo da poco cominciato a comprendere, ma intuitivamente i nostri antenati hanno espresso in sottili affermazioni, la cui banalità le rende universali alzandole al limite dell’etereo esempio d’intelletto. Vi è un errore di fondo però, un errore al quale non possiamo sfuggire poiché se lo facessimo, simili saremmo al grande architetto del mondo e non più uomini se non dèi perderemmo l’interesse della ricerca. Questo errore è il definire il non essere in base alla nostra esperienza dell’essere, e nessuno né i più nobili animi del passato, né il più alto intelletto attuale può sfuggire a questa trappola del mondo, una trappola che ci rende semplicemente uomini.
Ora, proprio per il fatto che siamo costretti a seguire questo nobile errore, a cadere in questa deliziosa trappola, cercherò di attenermi alla definizione di ciò che è e scrutare al suo interno, quale amante impavido ossessionato nella sua estrema conoscenza.
Il Reale.
Il primo sforzo col quale il nostro intelletto  deve fare i conti è la consapevolezza della distinzione della realtà, la quale può facilmente essere divisibile in due: La realtà naturale, ovvero che esiste di per sé in quanto naturale disegno del sommo architetto e la realtà artefatta, quale realtà creata, interpretata e esistente unicamente in relazione all’uomo e al suo intelletto. All’interno di questa realtà che è somma assoluta di essere e non essere possiamo stabilire la presenza degli opposti, diversi cioè dagli opposti assoluti (essere e non essere).
Gli opposti del reale condividono più similitudini che differenze: entrambi sussistono solo se in presenza dell’altro, si alternano con moto svariato ed imprecisato, di rado sfiorando l’equilibrio, sovente prevalendo l’uno sull’altro senza mai vincerlo del tutto. Sono diversi in tutto e per tutto e proprio per questo sono ancora più uguali, indissolubili amanti eternamente innamorati e fallimentalmente indipendentisti.
La realtà che è di per se appare a noi quali sovrastante forza trasformativa, ingovernabile impetuosa giumenta dall’indomito animo, dalla colossale presenza. Di essa l’uomo può ricercarne conoscenza anche se, ad oggi, con scarsi risultati. In questa realtà gli opposti ci appaiono  alla pari dei ciclopi o degli ecatonchiri: forze talmente inumane da non avere la benché minima parvenza di moralità e nobiltà … di umanità. La loro alternanza si dimostra discontinua, imprevedibile ed immutabilmente mutabile.
Della realtà artefatta l’uomo gioca come un bambino che scopre il rumore sbattendo “le cose” al suolo. Gli opposti diventano di gestibile dimensione …

L'Apprendimento e la ripetizione

Pubblicato nel vecchio Blog il: 20.11.2014 12:35
Ogni disciplina marziale va fiera del proprio bagaglio tecnico, delle proprie radici e soprattutto dei propri sistemi di allenamento. In effetti, negli anni ed in lungo ed in largo per il mondo, ogni maestro ha ideato via via sistemi e metodi allenanti sempre più particolareggiati, creando quel insieme folkloristico che danno uno specifico sapore alle discipline marziali; si dimentica però che vi è una costante, in tutti questi metodi di addestramento che penetra trasversalmente ogni sistema marziale, ogni stile marziale nonché permea molte delle nostre quotidiane attività di apprendimento, tale costante è la ripetizione.
Le scimmie antropomorfe più vicine all’uomo, gli scimpanzé (non dimentichiamo che tra noi e loro ci divide un unico gene), si tramandano elementari e “semplici” tecniche, come quella di aprire una noce  schiacciandola fortemente con una pietra attraverso la dimostrazione immediata del fatto e la costante ripetizione del gesto, fino al quasi perfezionamento dello stesso, con il quale gli esemplari più adulti riescono a spaccare le noci con un “semplice”, definitivo colpo!
Nella nostra quotidiana esperienza possiamo avere dimostrazione di come l’apprendimento avvenga fondamentalmente attraverso due vie complementari  e opposte: autogenesi intuitiva, ovvero l’innata capacità di  trovare la giusta risposta o soluzione ad un dato problema in completa assenza di una conoscenza pregressa e la ri-creazione ripetitiva, qualora non siamo in grado di risolvere un dato problema, possiamo copiare e ri-creare la soluzione adatta, memorizzandola attraverso la ripetizione.
Il metodo della ripetizione quindi condiziona la nostra capacità di rispondere ad un dato problema, velocizzando i tempi di risposta non già per via di una consapevolezza superiore del problema stesso, quanto per una rettiliana sensazione al limite dell’istintività. Il ripetere quindi, perfeziona e alimenta quella certezza che man mano si crea in noi, ovvero: che tale risposta è quella giusta a quel determinato problema, rinchiudendoci in un pensiero assolutistico proprio di chi si sente sicuro delle proprie certezze, ma…
Abbiamo tutti esperienza di come in natura non vi sia nulla di assoluto, immanentemente eterno e tale caratteristica è proprio di ogni cosa che appare davanti a noi, anche e soprattutto dei problemi che di volta in volta dobbiamo risolvere, ecco perché la falsa certezza prodotta dall’osservazione della ripetizione è di per sé una lama a doppio taglio. La ripetizione ci abitua a scegliere l’unica risposta certa che in passato ha funzionato ad un determinato problema, ma non ci fornisce nessun strumento per decifrare e modificare tale risposta nel caso, quello stesso problema, subisca una minima variazione.
Conoscevo un caro amico marzialista, il quale ogni giorno eseguiva cento calci circolari al sacco per ogni gamba, sempre a massima potenza. La sua convinzione risiedeva nell’affermazione che:
 “un guerriero che allena cento volte una tecnica anziché una volta cento tecniche è certamente più avvantaggiato in combattimento.”
Orbene, tale preposizione è certamente vera fin quando la teoria resta nel suo valido mondo che è appunto: teoria. Le varianti presenti all’interno della definizione di “combattimento” per la quale lui si addestrava, sono infiniti e all’infinito esse stesse variano, prendiamo ad esempio solo queste due varianti.: Luogo dello Scontro e Quantità di Avversari.
Luogo dello scontro, può essere la sala di una palestra, un ring, la strada (si è in salita o in discesa), il pavimento può essere scivoloso o fragile, può esserci vento e sabbia, pioggia, ecc… insomma la variante “luogo dello scontro” presenta diverse, se non infinite possibilità. Ora analizziamo la variante quantità avversari. Possiamo partire da uno solo, già con due avversari il mondo diventa un altro, figuriamoci un numero via via crescente, questi possono essere armati, possono essere drogati o ubriachi, qualcuno di loro può essere un combattente nato, ecc…. anche qui, un'unica variabile presenta un infinità di variabili!
Quindi il problema: “combattimento” non è certo risolto allenando ripetutamente un'unica risposta, nel nostro caso un'unica tecnica: il calcio circolare.
E allora qual è la risposta giusta a questo problema?
Semplice, cari lettori, la risposta l’abbiamo sempre avuta e la osserviamo ogni giorno, è la risposta che ci viene dalla natura stessa, dalla nostra stessa natura: l’adattabilità.
Solo chi è capace di affrontare un problema e risolverlo trovando la soluzione più ingegnosa, ovvero l’adattabilità ad una risposta coerentemente soddisfacente a quel determinato problema può riuscire vittorioso. Megas Alexandros insegna.
Allenatevi duramente, certamente la ripetizione del gesto tecnico sarà sempre un ottimo metodo, ma non fossilizzatevi in una credenza assolutistica di invincibilità, tantomeno di forza contro altri.

Sulla Difesa personale e le Arti Marziali

Pubblicato nel vecchio blog il: 12.11.2014 10:33
Il mondo delle arti marziali nostrane talvolta può offrirci degli ottimi aneddoti che rasentano il ridicolo, come quella del maestrino di karatè che prende a pugni una busta di sassi per allenare il giacuzuchi*, senza aver mai fatto un minimo di preparazione antecedente e procurandosi la frattura di tre su cinque metacarpi, o meglio quella del maestrino di difesa personale dall’anglosassone nome che ad ogni lezione tenuta si procura autolesioni, spesso limitanti, anche quando si allena a solo! Insomma una varietà di spunti sui quale riflettere amenamente nelle fredde sere invernali, possibilmente con una buona scorta di vino rosso. Quest’oggi però il pensiero mi si è fermato ed ingarbugliato sulla problematica questione: arti marziali e difesa personale.
Orbene mi affido al buon senso nonché a quel minimo di intelletto che vorrei riconoscere ancora nella maggioranza dei miei pari, esseri definibili ancora, umani o forse troppo umani (il buon Friedrich mi scuserà per questa ignobile menzione). Cercate di seguirmi, miei cari lettori, su un ragionamento così banale, naturale e semplice che oserei dire ci sarà poco o nulla sul quale indagare dopo.
Arti marziali. Con questi due termini possiamo raggruppare quell’insieme di tecniche, studi e metodi dai più variegati sapori orientali u occidentali che siano, riguardanti i metodi di combattimento a solo, in gruppo, armati o disarmati; ritrovabili ovunque l’uomo vi abbia portato la propria civiltà.  Orbene, questa conoscenza che ha come scopo lo studio ed il raggiungimento di una infallibile efficacia al momento di dover essere applicata in combattimento è per sua stessa natura non soltanto teoria iperuranea quanto praticità immanente e consistente. Un arte marziale che si rispetti, ha quindi il bisogno naturale di essere dimostrabilmente pratica nel caso di doverne fare uso, altrimenti semplicemente non è un arte marziale.
Mi spiego: Se inizio la pratica di una disciplina, qualsiasi essa sia, oltre a farlo per il semplice piacere o svariati altri motivi personali, ecc, l’obiettivo alla base di tale studio non sarà se non raggiungere ottimi livelli di maestranza applicata riguardo quell’ambito specifico di studio; quindi se mi iscrivo ad un corso di disegno e pittura, mi aspetto di raggiungere alti livelli (o almeno migliorare le mie capacità) nella disciplina, appunto, del disegno e della pittura, ciò non richiede necessariamente che io diventi un esperto nella storia dell’arte, quest’ultimo può essere semplicemente una conoscenza collaterale data dal mio personale interesse per quella ulteriore disciplina(la storia dell’arte, appunto). Potremo continuare ad esaminare un infinità di esempi simili, e la deduzione finale sarebbe sempre la stessa: L’autosomiglianza tra disciplina e scopo della stessa. Cos’è l’autosomiglianza? E’ la capacità naturale per la quale ogni singola parte è identica al tutto, nel nostro specifico caso, ogni singola tecnica marziale, pur variando la sua morfologia tecnica strutturale, prevede lo stesso identico scopo di ogni arte marziale degna di tale nome: abbattere il proprio avversario.
Un praticante di arti marziale è allora uno studente dedito all’approfondimento e assimilazioni dei metodi per raggiungere un alto grado di efficacia nell’abbattere il proprio avversario, sia sul piano fisico che su quello psicologico, in tal modo la sua persona si avvicina il più possibile all’archetipo elementare del guerriero: L’uomo in grado di affrontare ogni difficoltà proprio in virtù della sua conoscenza marziale.
Ora, abbiamo delle discipline che insegnano a combattere e degli studenti che si impegnano ad imparare tali metodi, considerando che un combattimento prevede l’alternanza di fasi di attacco e difesa fino al punto cruciale in cui si stabilisce la supremazia di uno dei due fattori in lotta, si potrebbe concludere che: un praticante di arti marziali, è per sua natura addestrato e pronto ad un ottima difesa di se stesso, ad un efficace difesa personale. E allora… La domanda da un milione di dollari: perché ci sono i fantomatici “corsi di difesa personale, quando abbiamo già le discipline definite appunto Arti Marziali”?  Il nichilista che è in me, risponderebbe: Questi corsi di difesa personale esistono per ovvi motivi commerciali, ad un certo punto, quando alla moda dello Judo, s’impose quella del karate, ed al karate il kungfu, poi la kick boxing, e via dicendo, il nostro bisogno di creare mercato e continuare a vendere qualcosa che appaia nuovo, convinsi gli insegnanti a separare i due aspetti, come se ciò fosse logicamente possibile, ed in tal modo venne fuori che le arti marziali erano solo uno stile di vita e tutto quell’insieme di mondezza newage per cui bisognava anche praticare qualcosa di più reale e adatto alla “strada”, inventando nuovi corsi (possibilmente da svolgere in mimetica) dove, togliendo tutta la parte culturale delle originarie arti marziali, si pensassi unicamente all’aspetto “realistico” delle tecniche stesse, infine dando a questi corsi possibilmente un nome improbabile e magari attinente a qualche videogioco in pieno stile virtua fighter, street fighter o tekken e via dicendo.
Ora, mi domando se non è così facile riconoscere che praticando già un arte marziale si dovrebbe imparare a difendersi? Lo studio classico della logica aristotelica dovrebbe portarci, in modo assai semplice, alla risposta di questa domanda: Si, per imparare a difendersi basta studiare, per bene, un ottima disciplina marziale; dove per ottima si consideri quella disciplina più facilmente assimilata dalla mia specifica persona, e alla quale si dedica diverse ore di addestramento.
Oltre all’aspetto logico per il quale è ovviamente inutile separare la difesa personale dalle arti marziali, vi è anche una motivazione pratica sul perché è indiscutibilmente migliore scegliere un arte marziale anziché un corso di difesa personale ma per questa discussione vi invito a restare in attesa al prossimo articolo del blog. Nel mentre, cari amici lettori, meditate e allenatevi.
*Attendo il primo linguista che proverà a correggermi sul come scrivere giacuzuchi correttamente.

lunedì 28 settembre 2015

Il mio stile non è adatto a tutti

Pubblicato nel vecchio Blog il: 06.11.2014 16:28
Il perbenismo culturale che fonda le sue basi su una relativistica moralità e virtuosità ha portato l’evolversi dei concetti di uguaglianza e parità a livelli tal mente astratti che siamo giunti al convincimento grazie al quale è buono  pensare che: Siamo tutti uguali.
Orbene, guardatevi. Guardate le vostre stesse foto di qualche anno fa, la semplicità della natura evidenzierà con grande esultanza l’idiozia presente all’interno di quel semplicistico termine: Uguaglianza, voi/ noi non siete/siamo nemmeno minimamente uguali a voi/noi stessi di qualche anno fa, figuriamoci se possiamo essere uguali all’interno di una società, all’interno di un insieme di individui che non a caso sono, appunto, individui. Ovvero persone talmente uniche che rasentano l’archetipo di uno.
Ed è ciò una grande fortuna! Pensate a quale noia si ridurrebbe la nostra esistenza se vivessimo in un ipotetico mondo di pari, dove tutti eseguiamo gli stessi compiti e ragioniamo seguendo le stesse direttive, ci comportassimo allo stesso modo e avessimo gli stessi identici gusti artistici e via dicendo? E pensate ancora cosa accadrebbe se, non ci fossero delle singolarità talmente estreme da portare la propria essenza al di sopra del comune ammasso di individui che sognano un utopica uguaglianza?  La storia stessa della nostra umanità non avrebbe mai avuto inizio! E’ soltanto nel momento in cui un uomo, il primo uomo rousseauniano, prese coscienza di sé e della sua eccelsa capacità di essere esistenza stessa del paradosso: infinito nel finito, di contenere la vastità intellettuale, capace di guardare l’infinito, di sfiorarlo ad ogni pensiero eppure egli rimaneva uno solo, nonché unicamente uno! È stato allora che questo patetico terzo pianeta ha avuto la fortuna di vedersi calpestato dai piedi di Sargon di Akkad, Hattusili, di Ramses II, Ciro il Grande e del non meno Alessandro Magno!
Re guerrieri, che si scagliavano contro il nemico in prima fila,( non certo come i nostri burocrati, intellettuali politici che mandano i nostri giovani, i nostri figli a combattere pur di conservare il loro misero potere economico nel caldo delle loro case, ma questo sarà un altro argomento sul quale parlare ;-) ). Re guerrieri  le cui basi scolastiche facevano loro riconoscere la diversità della plebe ed in tal modo la diversa formazione, educazione militare da offrire ai propri soldati. Ed è proprio qui che mi riallaccio alle arti marziali.
Così come non siamo uguali per nascita, tantomeno per formazione intellettuale, né fisica e via dicendo non siamo TUTTI soldati e le arti marziali, da quando il primitivo uomo ha iniziato a raggrupparsi per dare battaglia alle bestie feroci o ad altri uomini, sono tecniche e metodi propri dei soldati o almeno di chi, il mestiere delle armi viene naturale. Si, è vero, possiamo anche tentare di aggrapparci a fantomatiche argomentazioni del tipo religioso/filosofico dal sapore perbenista/newage, cercando di dire: le arti marziali sono più che mere tecniche di combattimento, sono storia, filosofia, e tanti di quei bla, bla, bla detti e ri sentiti da chi il mestiere delle armi conosce solo ed esclusivamente a chiacchiere o al massimo con qualche libro del genere “arti marziali per impediti”.
Guardatevi allo specchio, trovate in voi gli attributi necessari del guerriero? Siete pronti ad abbattere il vostro avversario? O forse credete che basti solo vincerlo in qualche garetta della federazione del paesino? La pratica di un arte marziale richiede degli attributi ben specifici quali: forza, elasticità, capacità di sopportare il dolore per lunghi periodi di tempo, capacità di concentrarsi anche sotto stress, anche quando si subisce un dolore così acuto dove tutti gli altri si arrenderebbero. In fine, un praticante che non sia forte ed elastico ha ben poca strada da fare nel mondo delle arti marziali, a tal motivo ogni disciplina porta con sé un bagaglio tecnico in grado di allenare al meglio lo studente a quella disciplina, ed è proprio per questo motivo che noterete: a Settembre il boom delle iscrizioni, con le nuove reclute, entusiasti dopo aver visto l’ultimo film di Bruslì, che non vedono l’ora di fare i salti mortali e diventare un Termineitor capace di disarmare un terrorista armato di un M16 o meglio di un lancia razzi, mentre a Giugno se vi contate con le dita della mano, vi avanzeranno di certo diverse poiché in molti avranno già mollato!
Qualora sentirete affermare, con sognante sguardo, il vostro maestro/istruttore: la mia disciplina è adatta a tutti, non abbiate paura ad alzare il vostro dito indice e fargli notare che forse sta sopravalutando l’umanità o semplicemente non ha la benché minima idea di quel che sta blaterando, cosa quest’ultima assai più probabile.
Analizziamo per un momento la si fatta frase: la mia disciplina è adatta a tutti.
Ora, se è la MIA disciplina, grazie alla logica aristotelica (che vanta solo qualche secolo), possiamo affermare con certezza infallibile che non è la tua disciplina, tanto meno quella di “tutti” poiché essa è appunto solo MIA. Insomma, presupponiamo che mi sia addestrato per diverso tempo ad essa, fino al punto di aver interiorizzato ogni singolo particolare ed infine creando appunto la MIA disciplina. Un po’ come se mi fossi fatto da solo un vestito su misura, con tutti gli errori ed incongruenze che questo comporta (un conto e farselo fare dal sarto esperto nel suo mestiere, un altro e farsi da soli il proprio vestito). Ora che quel vestito è compiuto, dopo tutto il tempo ad esso dedicato noi cosa faremo? Lo regaliamo ad un altro? Magari un po’ più alto di noi ed in sovrappeso; ecco proprio in quel momento, prima di farglielo indossare per la prima volta, magari dovrei ricordargli di dimagrire qualche etto, ma alla fine quel vestito gli starebbe lo stesso stretto. Il mio vestito quindi non gli è adatto.
Non bisogna essere buoni per forza, ma possiamo scegliere di essere sinceri almeno intellettualmente parlando e dire: il mio stile non è adatto a tutti, non è una discriminazione, quanto una presa di coscienza data dalla più pura ed eccelsa esperienza: la fatica espressa nel comporre il proprio vestito. Certo è che se il vostro scopo è invece vendere a quante più persone possibili la credenza nella loro capacità di praticare il vostro stile, mbeh allora conviene che continuate ad ingannarle come avete fatto fino ad oggi, miei cari maestri di arti marziali.

Attributi Marziali

Pubblicato nel vecchio Blog il: 25.09.2014 12:23
Sono un bel po’ di anni che, insegnando arti marziali, mi capita di scambiare qualche parola con quelle persone curiose le quali, per un motivo o per altro, si avvicinano e talvolta fanno anche qualche passo nel variegato mondo marziale, ed è proprio attraverso la forma più classica del dialogo, che farebbe invidia allo stesso Platone: ovvero domanda e risposta, ho riscontrato una sovrastruttura sovente ridondante.
Questa sovrastruttura, data ovviamente dall’inesperienza e spesso, dalla falsata conoscenza del mondo delle arti marziali, porta la maggior parte del pubblico a ritornare, quale malefico mantra, alla caratterizzazione e frequente definizione delle discipline marziali in base agli attributi che essi credono appartengano alle danze di Marte.
La sovrastruttura più comune riguarda l’ambito etico/morale della pratica delle arti marziali, a tal proposito è semplice notare come ad esempio i genitori*, che intendono iscrivere il proprio figlio ad un corso di arti marziali, siano orientati maggiormente ad un corso di karaté (con tanto di accento) a discapito di un corso di kungfu perché ritenuto quest’ultimo più violento, soprattutto se il bambino in questione è in una fascia di età dai 6 ai 12 anni. Frasi del genere: “Preferirei che faccia karaté perché il karaté è per la difesa, mentre il kungfu è per l’attacco.” Non solo dimostra la totale assenza di una benché minima conoscenza riguardo l’attività alla quale si sta per iniziare il proprio figlio, ma la presunzione di poter inquadrare secolari discipline in banali definizioni.
La sovrastruttura etico morale delle arti marziali, riempie quest’ultime di attributi quasi leggendari quali: calma interiore, rispetto, onore e via dicendo, ma sono questi attributi propri delle discipline marziali? La calma interiore la si trova frequentando un corso di arti marziali due volte la settimana per un massimo di due ore, se proprio dice bene? Se il nostro scopo è la calma interiore, non sarebbe più efficace, al fine del raggiungimento di tale obiettivo, andare in monastero o fare l’eremita in qualche montagna sperduta? Il rispetto, siamo ancora convinti che il rispetto vada insegnato? Non è forse il caso di affermare che esso vada acquistato? Se dovessi iscrivere mio figlio ad un corso di arti marziali per farlo acquisire il senso di rispetto verso gli altri e verso sé stesso, non è forse un affermazione di aver sbagliato in qualità di genitore? Sono sicuro che ho fatto il ragionamento giusto?
 Insegnano le arti marziali il rispetto? Basterebbe farsi un giro sui forum di arti marziali, su facebook e vedere come i maestri stessi non si rispettino tra loro, come l’uno critichi l’altro, come si insultino e facciano a gara a chi è più maestro dell’altro, quindi se i maestri stessi non dimostrano rispetto, per quale strana ragione dovrei attribuire alle arti marziali la qualità di insegnare il rispetto?
Onore. Ahi! Ahi! Ahi! Spesso se sfogliate un qualsiasi sito internet di una qualunque disciplina marziale, noterete come questo povero onore sia spesso sbandierato da tutti, ed è proprio perché tutti ne decantano che nessuno lo possiede. Piccolo particolare: L’onore lo si ottiene servendo, non significa proprio servire la parola Samurai ?** l’onore è proprio di una certa classe sociale, ormai trapassata, hanno o avevano onore i nobili, guerrieri di nascita quindi marzialisti di nascita. E’ noto come nelle maggiori società i commercianti non abbiano l’attributo dell’onore, e non sono proprio dei commercianti i nostri maestri di arti marziali che si fanno pagare la retta mensile?*** Ah, povero onore!
Alla lista degli attributi etici morali delle arti marziali potete serenamente aggiungerne molti altri, e molto ci sarebbe ancora da scrivere, ma sono certo che un tedioso e scomodo argomento come questo non sia ben gradito ad un pubblico che ami le apparenze, passiamo quindi ai successivi attributi: Mistiche qualità.
Cosa sono le mistiche qualità? Sono quell’insieme di leggende metropolitane, simili al famoso coccodrillo di New York che girava negli anni 90 (lo ricordate?) cose del genere: invincibilità, super forza, super velocità e poteri energetici. Ora, c’è da dire che: queste leggende metropolitane sono ovviamente state create ad hoc dagli stessi maestri, che tra l’altro stanno leggendo proprio in questo momento, magari. Quindi ridiamoci su e analizziamo il nostro ventaglio di attributi.
Invincibilità. Punto, non c’è null’altro da aggiungere, semplicemente che Se fate questa arte marziale, diverrete delle macchine della morte che farebbero rabbrividire lo stesso sargente Hartman, con tanto di “faccia da guerra”. Sarete invincibili contro uno o più avversari, contro uno o più avversari armati, contro uno o più avversari armati e cattivi, armati anche con granate piene di molotov**** Fatevi un giro su un qualunque sito di arti marziali, su un qualunque forum o sui vari gruppi di faccia libro, ogni maestro affermerà che la sua disciplina è adatta a tutto e a tutti e che ovviamente loro hanno ucciso a mani nude le tigri del bengala fino a portarle sulla soglia dell’estinzione. Si, hanno sconfitto anche l’uomo nero che abitava nel loro armadio quando erano piccoli. Il messaggio è sempre lo stesso: Se fate questa arte marziale sarete invincibili, piccolo particolare: chi di noi si sia trovato a fare la scelta tra il vivere o il morire , sa che il tempo per scegliere non dura nemmeno un secondo e soprattutto sa che non esistono arti marziali né tecniche migliori di altre, oltre al semplice voler tornare a casa, vive chi ha più voglia di vivere non chi sa mille tecniche e spacca qualche mattonella alla festa della madonnina del paese.
La super forza e super velocità. Diverrete Hulk e Flash allo stesso tempo. Nel mondo della Marvel è Hulk la forza, in quello della DC Flash è la velocità, nel mondo delle arti marziali, se praticate questa arte marziale diverrete entrambi, quindi invece dei vostri bei kimoni*****, mettetevi dei calzoncini strappati e regredite la vostra forma del linguaggio fino a farla diventare primordiale, di certo vi avvicinerete di più ad ottenere questi attributi. Ovviamente il tutto acquisito nel minor tempo possibile e con la minor fatica possibile.
Questa sovrastruttura induce il neofita che si appresta iniziare una disciplina marziale a credere che praticandola, diverrà più forte di prima, più veloce, il tutto senza fare troppi sforzi. Mai ci fu bugia più scandalosamente sbagliata. Piccolo particolare, se realmente si desidera acquisire forza e velocità rivolgetevi ad una preparazione atletica ad hoc, seguita da una mirata dieta alimentare, non serve a nulla fare dieci flessioni e dieci addominali mentre siete al corso di karatè, perdete solo il vostro tempo.
Infine, siamo alla sagra dell’innocenza, l’attributo master, l’attributo great grand master di tutti: I poteri energetici. Già, perché sovente ci si scrive ad un corso di arti marziali come risultato della magica pubblicità fatta dalla maggior parte dei maestri tradizionalisti, ovvero: i poteri energetici, quei poteri ad esempio che fanno cadere gli avversari, stranamente solo i suoi allievi, con un leggero tocco delle dita. Ma ci sono poteri energetici ancora migliori, visibili in quelle esibizioni fachiristiche dove il maestro, appoggia la punta di una lancia in gola e piega l’asta (sempre con l’aiuto dei suoi allievi, strano!) il particolare dov’è? Mbeh la punta di quella lancia è arrotondata ed inoltre non è in acciaio rigido e affilato, le aste di bambù delle lance usate  sono assai flessibili e gli allievi, poveretti loro, premono proprio sul punto di rottura dell’asta, strano, no?
Quindi dovrei iscrivermi ad un corso di arti marziale in vista di questi attributi? Non farei una scelta migliore se ricercassi un attività più specifica per quella sovrastruttura che ricerco? Come per la calma interiore, non sarebbe meglio e più fruttifero iscriversi ad un corso di attività circensi? O meglio di fachirismo vero e proprio? Se voglio diventare più forte, non sarebbe più consono rivolgermi ad un corso di pesistica, dove la mia forza aumenterà in modo evidente e misurabile?
Personalmente, quando ascolto la definizione di arti marziali in base agli attributi che le persone credono siano propri di esse, capisco il perché è cosa buona e giusta insegnare a pochi e solo ai meritevoli.
Note
*Il dato riguarda una personale statistica sperimentale negli anni.
** E qui i linguisti nipponici mi attaccheranno in massa, ahahahaha.
***Io per primo.
**** già granate piene di molotov, ma per Cristo e per tutti gli déi!
*****Mi vergogno solo di averlo scritto, figuriamoci quando lo sento dire ai genitori e talvolta anche agli stessi maestri.

Tengo necesidad de odiarte

Pubblicato nel vecchio blog il: 11.07.2014 00:30
***Dislculpadme, pues es ya mucho tiempo que no hablo ni escribo en mi natal idioma.***
Tengo necesidad de odiarte.
Como odia el niño la noche,
como odia el santo al pecado,
como odian los pajaros el viento de tempestad.
Tengo necesidad de odiare.
Y odio el rubio de tus cabellos,
los esmeraldos ojos del engaño.
Odio el veneno de los delicados labios.





Pues tengo necesidad de odiarte
para no sufrir màs la oscuridad de la noche,
la usencia del delicado seno,
la fuerza de tu castigo, mujer!
Tengo necesidad de odiarte.
Y odiandote te extraño,
y extrañandote te quiero,
y cuando màs te quiero
La frìa hora llena la vacuidad.
Y odio tu lejanìa,
Tus sinceras mentiras,
Làtigo azotador de mi alma.
Tengo necesidad de odiarte.
Y odiandote te quiero
Y queriendote te extraño
Y extrañandote me muero.

Tengo necesidad de odiarte
Simil al rojo Ares
Mi lanza  es de fuego,
Y tiembla el alto cielo
Cuando el grito amargo
hecho al viento.
Tengo necesidad de amarte,
Cipride criatura
Que en rojo y en negro mi alma enredas.
Conserva mi amor en el tiempo del verano
Y devuelveme pronto tu dulce espuma.
Pues en verdad
Tengo necesidad de odiarte.
Habil mentiroso entre los mentidores.
Drago Ubriaco/ Dragòn Borracho

Ermione

Pubblicato nel vecchio blog il: 23.05.2014 20:27
So bene come finirà questa sera. Conosco bene il travolgente potere che la tua sola presenza  scatena, schiavizzando la mia risolutezza, sconvolgendo i miei piani di guerra.
E mi ritrovo puntualmente a rivivere il dèjà vu della scelta, al bivio tra uno speranzoso, lucente, futuro ed una cupa realtà che s’annida nelle mie ore di morte, dove i neri gabbiani sfrecciano in uno sconfinato cielo senza stelle, su di un appassito mare di solitudine ed angoscia. E sono qui, sono ancora qui ad attenderti, a mendicare il tuo sguardo, il tuo delicato sorriso dagli strizzati occhi smeraldini. Amami, è tutto ciò che chiedo e tutto ciò che desidero.
 Essere tuo, vivere per te.
 Vivere da te e dalla vita che solo in te mi pare di scorgere ormai.
Basterebbe un solo “Si”; un semplice, banale, puerile monosillabo che raccoglie in sé l’essenza di tutta questa umana sofferenza, quasi fossi una punizione divina, nemesi stessa in regalo ad una vita di morte, fatiche e sofferenza.
Conosco il mio passato, i miei lontani errori e la punizione scatenata. Ma quanto potrò ancora sopportare? Prego ogni notte ricevere la forza dallo stesso Enki, amico dell’uomo, attendo un Prometeo che mi accompagni e mi guidi con la divina fiamma nell’ingannevole, nosferatico, mondo di Eros che solo a te appartiene. Nel mentre le forze mi abbandonano, giorno dopo giorno l’ansia di una tua telefonata, di un tuo semplice messaggio mi sferza il sangue con il ricordo dei delicati capelli dall’oro colore, lentamente i giorni muoiono nell’attesa che puntualmente si dimostra pleonasticamente inutile, fallimentare.
L’ordalica privazione del tuo amore appare quale dannazione, quasi fossi un decaduto Lucifero dalle cicatrizzanti ali, amorfo nell’informe, appassito anche nella morte … un uomo che non ero, un uomo che non sono, un Re divenuto schiavo di quel lieve, molle,  ansimare quando in rosso ed in nero il tuo dolce peso si adagia.
Vado, lontano come lo sfuggente orizzonte.
Vado alle mie battaglie, amore mio, vado alla terra che solo io conosco, dove la mia spada attende ed il tuo ricordo attende, ma non vi è nulla da trafiggere, il mio corpo, il mio respiro, il cuore stesso, pulsante e caldo resta da te. In te, come in tutti questi bruni giorni appena trascorsi. Vado e senza di me, mi avventuro in una vita che so già è finita ad ogni respiro appena concluso.
Vado ad attenderti, ad aspettare quel dannato “Si” dal tonante fischiettio che scroscia, che rabbrivida l’anima. E quando in un attimo di follia, la solitudine della perdita ti assalirà, voltati, guardami e racconta al vento, nostro eterno messaggero, l’accondiscendente perdono.
Non già solo Dio perdona ma l’uomo, ed in ciò l’uomo ascende se stesso alto e lucente come Venere all’orizzonte, non un Dio ma già un uomo che dio stesso ha superato.
Solo nella moltitudine di ombre che solo io conosco, t’attendo.
Oh Ermione

Marziali Riflessioni

Pubblicato nel vecchio blog il: 22.05.2014 12:21
Cosa ci è successo?
E’ la domanda che quotidianamente mi rivolgo allo specchio al mattino, quando  dopo aver finito la giornaliera prassi di risveglio, l’angoscia di un nuovo giorno morente mi assale. Dove sono i giorni in cui, in un tuonante silenzio ci allenavamo all’ombra, cupa e quasi sacra, del nostro maestro? Quando, con infinita attesa ci addestravamo per ore, giorni e spesso anche mesi, in un'unica noiosa ed infine, naturale, tecnica. Dove sono i giorni in cui al maestro bastava sollevare un palmo per capire quale Taolu eseguire? I giorni in cui entravamo al kwoon e la prima cosa che facevamo era quella di accendere l’incenso agli antenati, seguiti da tre inchini ritmati dal sottile ticchettio di un orologio analogico in fondo alla sala, la sala dei bronzi e delle giade, la sala dove l’onore abitava quasi fosse un dio in persona. Calpestare quel suolo, senza un morbido tatami, circondato dalle armi affisse ai muri, qualche vecchio libro appoggiato qua e là e l’acre odore dell’incenso che pian piano si faceva strada lungo le narici, la trachea … i polmoni. Dove sono quei giorni? Cosa ci è successo?
Quei giorni sono relegati ad un passato, che giorno dopo giorno, inevitabilmente appare più luminoso, lucente come l’argenteo colore della spada del maestro, seghettata dagli infiniti combattimenti, sporca ancora del sangue di diverse anime immolate per i motivi più vari: il potere, l’onore, il rispetto, la gloria, l’amore. Mi guardo allo specchio e non vedo se non un uomo dai troppi ricordi, non odo se non la voce del passato, pallidamente adagiata nel suo stesso ricordo. L’uomo di spada non vive nel passato, ma nella sua stessa spada pronta a fendere il quotidiano. La mia spada?  È saldamente appoggiata insieme ai bastoni e alle altre spade di più bassa nobiltà. Perché? Perche so che quei giorni sono finiti.
E’ finito il tempo in cui un maestro accoglieva i propri discepoli solo se dimostravano di essere capaci di seguirlo. E’ finito il tempo dove, per entrare in quella stanza di bronzi e giade, dovevi superare almeno quattro anni di apprendistato con un iniziato, con il figlio stesso del maestro. E’ finito il tempo dove l’unica retta mensile era servire il tuo maestro in ogni suo volere. Maestro dice, allievo fa.
Oggi? Basta iscriversi in una qualsiasi palestra, pagare la retta e non avendo ne arte ne parte entrare all’interno di una scuola, dove il maestro non solo ti devi accogliere e insegnare fin da subito in virtù dei tuoi soldi appena consegnati alla cassa, presso la segreteria, ma sopportare la tua incapacità a restare cinque miserabili minuti in Mabu, e magari sentirsi dire dopo: Maestro sono stanco, facciamo un'altra cosa?
Non solo, dopo neanche due mesi sentirsi un novello bruslì (con tanto di accento sulla “i”) in virtù di un allenamento che al massimo dura un ora e mezza per ben due volte a settimana! Wow, che grande guerriero, si addestra due volte a settimana! Deve essere veramente tosto, ha anche una cintura nera. E poi? poi, ti ritrovi maestri che si rompono le dita mentre sono al sacco, da soli, a dare dei pugnetti incapaci di percepire la violenza stessa che la parola pugno può indicare.
Ma dobbiamo pur vivere, no? L’affitto, le spesse di luce, telefono e varietà in necessaria ai fini marziali, vanno coperti, è vero. Perché quindi essere un idealista? Vivere in un iperuranea percezione della virtù marziale, quando essa, da tempo se ne è andata? Perché perderei l’unica cosa che nessuno può togliere, perderei me stesso. Abbandonerei definitivamente la mia spada accanto a quei plebei bastoni. Sarò forse un sognatore, sarò forse contro il comune status quo marziale è vero, ma sarò io e onorerò la mia promessa di servitù al mio maestro, anche nella morte la mia promessa è rimasta, anche quando il maestro è caduto dall’olimpo stesso mostrando l’insegnamento ultimo, mostrando che anche un maestro è un uomo, anche allora, la mia promessa è salda come in quel lontano luglio del 2001. La scuola, non morirà con me, perché vivrà nel cuore di colui che si mostrerà degno, colui che non riceverà l’insegnamento solo perche paga una retta mensile, ma perche la sua nobiltà, il suo innato onore emergerà da sé. Ed è qui che vengono i nodi al pettine, L’onore non lo si acquista né con una cintura nera né con una medaglia vinta. L’onore appartiene a colui che vive nella sua propria spada, quotidianamente, incessantemente, infaticabilmente. Non basta un kimono, né una katana comprata al mercatino dell’usato fatta in serie con l’acciaio più schifoso di tutto il mondo, non basta vestirsi da cinese antico, leggersi due frasi del tao te ching, chiamarsi buddhista e magari essere un novello vegetariano o vegano… non basta dire il bianco è il buono ed il nero è il cattivo. Il nobile animo si dimostra nella propria spada, pur restando semplici uomini dalle infinite difficoltà, paure ed angosce.
Cosa ci è successo? Siamo diventati meretrici di sacre conoscenze, di tecniche dove basta fare un video su youtube per creare altri diecimila maestri. Abbiamo svalutato ciò che di più nobile c’era in noi, il nostro sapere, i nostri ricordi, i nostri antenati. Ricordate miei cari amici, che ogni singola tecnica, ha spezzato mille vite ed esse ancora chiamano vendetta da qualche parte, prendere alla leggera ciò che credete di chiamare arti marziali è l’errore più comune che ci sia. Non siate parte di quel ammasso informe di ignobili praticanti. Calpestate la terra ricordando che tra tutti, i guerrieri vanno in contro a ciò che fa male e non scappano da esso, affrontate la difficoltà, perche è solo facendo cose difficili che si migliora, altrimenti restate nella vostra mediocrità ma non chiamatevi marzialisti. Onorate gli antenati che per voi sono morti per potervi portare la conoscenza. E non dimenticate la vostra, propria, spada.

Masochismi Marziali

Pubblicato nel vecchio Blog il: 30.09.2013 08:50
Da quanto tempo praticate arti marziali? Una delle cose che accumulerete praticando arti marziali, non sarà certamente la conoscenza tecnica, quanto la collezioni di episodi marziali al quanto bizzarri nonché personaggi ad essi connessi, gente che pratica le arti marziali mistiche per il raggiungimento del Sé supremo (aha -_- ), gente che pratica arti marziali per collezionare medaglie e titoli mondiali in federazioni ( o sarebbe meglio chiamarle semplici “asd FEDERAZIONE pinco pallino”), gente che pratica le arti marziali per  diventare un Termineitor/Bruslì (con tanto di accento sulla “i”) e gente che pratica arti marziali per imparare la filosofia orientale (non era meglio un corso di laurea all’università?)… di tutti questi bei personaggi oggi vorrei parlarvi dei masochisti marziali.
Nel suo Psychopathia Sexualis del 1886, Richard Von Krafft Ebing definisce il masochismo come una specifica “perversione” sessuale* nella quale l’individuo vive nell’ossessione di subire un esperienza di completa sottomissione  verso il proprio partner, raggiungendo talvolta ALTI LIVELLI di  umiliazioni e strazianti torture. Ora ben consapevoli che molte delle nostre quotidiani abitudini sono rintracciabili all’interno di meccanismi psicologici infantili/sessuali (come insegna il buon caro Freud) meditiamo insieme riguardo la trasposizione di questo masochismo nel nostro piccolissimo mondo delle arti marziali “italianotte”,ovvero all’interno dei nostri piccoli bar dello sport dove spesso diciamo di andare a fare arti marziali.
Chi è il masochista marziale? Inquadrabile in un età compressa tra i venti e i trentacinque anni, solitamente di sesso maschile, sovente praticante di sport da combattimento o stili marziali armati come ad esempio: la esGrima (eh, si… è una parola spagnola) , talvolta anche arti marziali di tradizione orientale come ad esempio sistemi giapponesi di  derivazione jujutsu, karate e ovviamente cinesi come il Cunfù (quello con l’accento!), con una spiccata tendenza all’uso violento della forza (non quella di star wars), e dalle capacità linguistico/grammaticali degne di un testo alla Vasco fatto di mono sillabe o monoparole**. Ora fino qui direte “tutto ok” (tranne per il monosillabismo) dov’è il masochismo? Ed io vi rispondo, perdonatemi se lo faccio con una domanda: avete mai sentito la frase: “Noi a lezione ci meniamo per davvero!”, “noi facciamo la VERA arte marziale/sport da combattimento, perche da noi, Aoh, ce se mena, mica pe finta!”, “quando esco dalla pale c’ho sempre i lividi”?
Eh? Cosa?! Quindi, scusami, tu PAGHI (talvolta manco poco), per andare in palestra e farti “menare”? interessante, analizziamo il tuo “ragionamento”, ma facciamolo guardando trasversalmente la cultura dalla quale deriva l’atteggiamento masochistico.
Di tutti gli animali è reazione comune rispondere ad eventi violenti con la fuga, la paralisi tonica e là dove è necessario, il combattimento vero e proprio. Quando due esemplari della stessa specie ingaggiano la lotta, è facile notare come questa non abbia lo scopo di uccidere l’avversario se non quello di dimostrare di sovra farlo e ristabilire la propria posizione di maschio/femmina dominante (avete presente i combattimenti tra i cobra o i leoni?). Bene, l’uomo è l’unico essere vivente su questa terra che quando ingaggia il combattimento spesso (la storia lo dimostra) lo fa per ottenere non solo la resa, ma l’annientamento del proprio avversario. Ora noi crediamo di essere così superiori ed intelligenti, eppure, ad un intelletto normodotato di critica l’immagine precedente dimostra come in realtà non lo siamo. A dimostrazione di ciò abbiamo ideato fin dal paleolitico l’utilizzo via via più specialistico di armi e conseguenti metodi di uccisione, andando a finire in costruzioni di colossali filosofie atte ad accettare,  giustificare e, conseguentemente, a ricercare addirittura la morte quale bene massimo del  guerriero: cioè, non basta prendersi a mazzate, ma addirittura innalziamo intellettualmente e culturalmente un fatto, per ovvi motivi, nefasto a livelli tali da proporlo quasi in chiave di utile, nonché di bontà in termini etici/morali:
Gli insegnarono che la morte sul campo di battaglia al servizio di Sparta era la gloria più grande che la vita avrebbe potuto offrirgli.” Frase tratta dal Film 300
Ora Tralasciando il fatto che sia solo una frase tratta da un film, quindi prendendola con le dovute pinze, possiamo affermare come l’esaltazione della morte, quale atto nobile e glorioso, sul campo di battaglia sia componente fondamentale di propaganda in quegli ordinamenti sociali istituiti dai regimi tirannico/assolutistico (vedasi il feudalesimo cristiano/islamico: uccidete gli infedeli e guadagnate il regno dei cieli, il feudalesimo giapponese: il samurai e il suo onore anche nella sconfitta, l’età napoleonica e la grandeur francese, il socialismo russo, il nazional socialismo tedesco, il fascismo italiano e quello spagnolo, ecc) in modo da giustificare e far sì che sia socialmente accettabile andare in contro alla morte per il semplice valore attribuito ad un idea (che, per ovvi motivi etimologici, storico e filosofici è qualcosa che in realtà non esiste). In questo contesto possiamo parlare di masochismo sociale/culturale, dovuto ad un annullamento della capacità critica della massa comprendente il raggruppamento sociale a vantaggio del singolo intelletto innalzato a dirigere il popolo(notare quindi il parallelismo maestro ---> gruppo di allievi).
La nostra moderna società e cultura individuabile in aree geografiche ben definite, può quindi sviluppare diversi meccanismi di giustificazione per l’accettazione sociale di atti masochistici di portata generazionale. Ora, per rientrare nel discorso del bar dello sport marziale, basterà capire come sia credenza populistica e ampiamente condivisa dai soggetti che rientrano nella descrizione di cui sopra che, più ci si fa male durante le sessioni di allenamento (si, proprio così allenamento, cioè nemmeno in gara, ma unicamente in allenamento) e più si è marziali, virili e guerrieri, spesso associando la giustificazioni che: facendo arti marziali sia necessario andare forte mentre si è a lezione. Condivido il pensiero che le nostre discipline dovrebbero insegnare a combattere, d’altronde sono appositamente definite arti marziali, se insegnassero altro non lo sarebbero, condivido il pensiero che sia necessario un costante allenamento al combattimento per chi pratica le arti marziali, ma la domanda è: è proprio necessario farci del male fisico gratuito, per raggiungere l’eccellenza marziale? Mi spiego: Se a lezione devo eseguire un semplice colpo di pugno, devo per forza fracassare il volto del mio compagno di allenamento in virtù di un addestramento, il più possibile, reale?! Credo che ci siamo evoluti e distinti dalle bestie proprio grazie alla nostra capacità di analizzare e, quindi, al nostro intelletto, per cui saremo tutti d’accordo che posso trovare metodi altrettanto efficaci per l’addestramento senza dover ogni volta finire all’ospedale per un articolazione lussata o per un naso rotto, in fin dei conti quale vantaggio sarebbe quello di avere un corpo distrutto già dalla fase dell’addestramento, prima ancora di andare in guerra o nel nostro caso, di ingaggiare un combattimento? Il fanatismo quasi religioso di certi soggetti può comportare l’accettazione di una simile metodologia masochistica per l’insegnamento e trasmissione delle arti marziali, ma non ci fermiamo unicamente al subire piacevolmente il dolore per uno scopo ritenuto di grande valore, spesso il masochismo marziale è anche molto più sottile ed ingenuo, proprio come il maestro di karate che porta i suoi allievi a fare una dimostrazione presso la palestra di una scuola media e, in pieno inverno, li fa sedere in seizan aspettando l’inizio della esibizione e là dove il novello marzialista fa notare al maestro che ha freddo e che forse sarebbe meglio riscaldarsi ginnicamente, dall’alto della sua oscura cintura nera, il maestro può rispondere: “Riscaldati col Kimè”! inutile far notare al maestro che l’allievo non è altro che una semplice cintura bianca, quindi effettivamente quanto kimè può avere? E possiamo andare avanti ad oltranza con vari racconti marziali che vedono rapporti masochistici di quotidiana ordinanza. 
Tutto ciò è molto simile ad un piccolo evento storico, quello dei fanatici flagellanti medievali, i quali erano fermamente convinti che l’autoflagellazione a imitazione della passione del loro signore, il cristo, potesse garantire la vicinanza col divino. Nel caso dei nostri marzialisti, la convinzione di raggiungere uno stato guerriero superiore grazie a metodologie di tipo masochistico.
Non contenti dell’eseguire metodologie masochistiche , i soggetti di cui sopra, provano anche a pubblicizzare la loro marzialità guerriera, raggiungendo livelli quasi osceni di autocompiacimento, a tal proposito il mondo di youtube ad esempio, è pieno di video raccolte fotografiche dove, il susseguirsi delle foto dei lividi sparsi per il corpo, sono alternati a frasi del tipo: “noi ci alleniamo per davvero”. Bravi, complimenti, siete fortissimi, ma soprattutto degni rappresentanti dell’alto livello scientifico, tecnologico raggiunto dalla nostra civiltà.