Pubblicato nel vecchio Blog il: 16.09.2015 15:54
***Questa, è una parte del saggio "Sulla Metafisica della Morale" del M° Jaime Luis Vizconde, l'articolo è di proposito mostrato solo in parte***
Molto tempo fa, mentre ero immerso nelle mie letture pomeridiane, la quiete della stanza fu squassata dall’arrivo repentino di un uomo, nel suo volto l’espressione della frustrazione, nella sua parola la certezza della sua esperienza e, nel suo animo, l’amarezza della consapevolezza di ciò che andava affermando.
“tutti mentono!”
Aveva offerto la sua vita alla ricerca del bene, il suo nobile e paziente animo era, non fiducioso ma speranzoso, egli aveva la speranza, pur vaga e minima che sia mai stata, di compiere il bene affinché, quale un nuovo virus, quasi simile all’olio appena caduto sulla maglietta, si spandesse nella società, egli credeva che se un uomo agiva nel bene, compiva il bene, altri lo avrebbero imitato, ed il bene si sarebbe sparso nella sua comunità.
Non è forse al bene, che l’animo umano tende? No.
“Tutti mentono, io sono come tutti e quindi mento. Un sillogismo che avrebbe fatto sorridere Aristotele.” Una frase appena mormorata tra le labbra, anche la sua ultima certezza era svanita. Cos’era un uomo se non poteva fare affidamento alla sua stessa parola?
Quell’uomo era mio padre.
Quella banale affermazione fu accantonata in quella parte di memoria dedicata al ricordo, e credetti che il demone del dubbio fossi finalmente sconfitto e allontanato dal sapere, dalla conoscenza certa prodotta dallo studio scolastico delle scienze, là dove lo stesso Descartes quattro secoli prima aveva stabilito le fondamenta di un metodo che apparve universale, veritiero.
Gli anni son passati, l’esperienza anche, cominci a guardarti in dietro e la strada fatta appare certamente più lunga rispetto a quella che scorgi all’orizzonte luminoso. Pensi al passato mentre la marcia trionfale di Verdi risuona in testa, guardi il presente ed è l’Adagio di Albinoni che prende il sopravvento. Stiamo morendo e molti di noi non sono altro che morti vaganti ancora in un mondo che crede di essere vivo.
Dubium sapientiae initium
E’ davvero così, è il dubbio l’origine della sapienza? Descartes dubita, egli riconosce l’origine della ricerca del suo metodo dal fatto di riconoscere in sé il dubbio e i molteplici errori a cui lo studio scolastico lo aveva portato, riscoprendosi un neo Socrate, egli afferma:
“Mi trovai intricato in tanti dubbi ed errori, che mi sembrava di aver tratto nel tentativo di istruirmi un unico utile: la crescente scoperta della mia ignoranza.”
Ora dopo che un bel po’ di secoli ci separano da quel mirabile intelletto che è stato, possiamo continuare ad accettare il dubbio quale origine della conoscenza? Guardando al quotidiano, che era poi il lato pratico cui Descartes voleva applicare il proprio metodo, è evidente il fatto che il dubbio in quanto tale sia spinta emotiva, slancio intellettuale verso l’inizio di una ricerca, dal dubbio non può nascere nessuna sapienza se non quella già evidenziata dallo stesso Descartes, ovvero il fatto di dubitare.
Una volta che dubitiamo, possiamo scegliere se ingaggiare la sfida intellettuale appena nata o limitarci a giocare in mezzo al dubbio con certezze altrettanto fallimentari.
Il fatto è che una volta “risolto” il dubbio, ed acquisita una certa conoscenza l’uomo è ancora in possesso di un'altra arma contro l’umanità: il suo libero arbitrio.
Col libero arbitrio l’uomo sceglie di ingannare, sceglie di mentire ed è impossibile dubitare del fatto che l’uomo mente, e mentirà costantemente, quotidianamente, instancabilmente. Non già per scelta, ma perché facente parte della natura stessa. La quale è la più grande ingannatrice al mondo.
La bugia della natura
Le nostre scienze si sono ampiamente impegnate a ritrovare la verità nascosta all’interno della natura, la sostanza alla base di tutte le cose e le leggi che la controllano, orbene, più ci sforziamo nella ricerca della verità ultima, più i nostri traguardi scientifici ci dimostrano come in verità non sia tutto una semplice bugia naturale. In natura ogni cosa mente: Una semplice farfalla ha il bisogno di mentire per sopravvivere, noi la chiamiamo mimetizzazione (dal greco io imito) ma i geometridi “sanno” che è questione di vita o di morte, affidano così la loro intera esistenza alla loro bravura nel mimetizzarsi col terreno, le foglie e cortecce degli alberi, la loro sopravvivenza come specie passa attraverso la naturale capacità di mentire.
Talvolta appare divertente come, ad esempio, l’amore per l’antropomorfismo abbia portato diverse persone ad attribuire ai cani, qualità e atteggiamenti prettamente umani, questo smisurato bisogno di sentirsi amati gli ha portati a battersi, anche con una certa fierezza, pur di sostenere l’infantile credenza che il cane, lo ricambi dell’amore, che essi cercano di trasmettere loro. Ora, benché l’argomento “amore” sia già ampiamente studiato nel mio “Apologia dell’amante”*, basterà qui ricordare come, possiamo affermare che l’amore sia risultato di una percezione elaborata ed studiata da un intelletto pensante, in grado di possedere il libero arbitrio: Io affermo di “amare”, perche percepisco in me delle trasformazioni emotivo fisiologiche, le quali interpreto o cerco di rispondermi attraverso la parola “amore” (in pratica potrei benissimo chiamarlo bisogno di cioccolata, sarebbe uguale, ma il nostro innato romanticismo lo chiama amore). Possiamo quindi notare come per principio di evidenza il cane non possieda il “pensiero” in qualità del fatto che non possiede neanche il libero arbitrio, deducibilmente lo stesso cane non potrà quindi interpretare le sue informazioni sensoriali in definizione di terminologie simili al concetto “amore”, quel che noi, esseri umani facciamo è attribuire al cane delle qualità prettamente umane, ci inganniamo consapevolmente pur di credere che il cane ricambi il nostro amore con “amore”. Quel atteggiamento amorevole che il cane manifesta verso il padrone non è altro che semplicistico istinto di sopravvivenza, nonché riconoscenza del “maschio alfa” del clan: per ogni cane, il proprio padrone non è altro che il maschio alfa del suo sistema chiuso, la strategia di dimostrare reverenza ed “affetto” verso il padrone non è affatto diversa dal cercare di ingannarlo costantemente, quotidianamente, pur non facendolo con l’intento stesso di ingannare, poiché ovviamente il cane non può scegliere di ingannarci, semplicemente lo fa. Ecco quindi la naturale bugia, quasi fisiologica e certamente necessaria ai fini della sopravvivenza dell’essere inferiore.
La bugia della natura umana
“La loro bocca dice menzogne
E alzando la destra giurano il falso.”
Preghiera del Re per la vittoria e per la pace
Cos’è l’uomo? Qualcuno disse è un bipede nudo ed ebbe in risposta un pollo spennacchiato lanciato in faccia. Qualcuno altro affermò la dualità e la separazione tra l’uomo materia e l’uomo idea, ed infine un altro lo superò riunendo la dualità e unificandola affermando che reali sono gli individui e che nella realtà va ricercata la vera essenza.** Da allora in molti ci siamo chiesti cos’è l’uomo, taluni rispondendo in base ad specifiche caratteristiche quali: l’uomo è un animale sociale, l’uomo è il lupo di altri uomini, ecc … Ed ognuna di queste affermazioni si avvalgono della qualità di apparire più o meno corrette e valide, ma un affermazione che non sia supportata dall’evidenza concreta e indiscutibile che essa sia tale, un affermazione alla quale si trovi uno ed uno soltanto dubbio non è vera, quindi noi possiamo dire è vero che l’uomo è un animale sociale, ma l’esperienza ci dimostra come in lungo ed in largo nella storia delle civiltà si siano sviluppati i movimenti asceti, evidenza del fatto che l’affermazione uomo sociale non è del tutto vera. L’uomo è il lupo di un altro uomo, è un affermazione che appare veritiera, ma possiamo trovare prove e dimostrazioni che almeno una volta, almeno u solo uomo è mai stato “buono”, quindi anche questa affermazione non è del tutto vera.
L’uomo è un bugiardo. Signori, non troveremo modo per smentire questa affermazione, non si è mai dato il fatto che sia esistito un uomo il quale non abbia mai mentito. Tutti, mentiamo. Io affermo quindi l’uomo è un animale che mente, alla pari del cogito, l’uomo non solo è colui che pensa, ma è anche e soprattutto colui che mente. Da questa proposizione …
*Con il nome di “Apologia dell’amante” sono raggruppati una serie di scritti propri del M° Jaime Luis Vizconde, dove viene studiato e analizzato l’argomento dell’amore, sia da un punto di vista storiografico, che da quello psicologico, metafisico e fisiologico.
**Se riconoscete a chi mi riferisco, segnalatelo nei commenti e mi complimenterò con voi pubblicamente.
Marte dio della guerra, è una semplice affermazione la quale di per sé appare veritiera e nota a tutti, il problema, signori miei, è che esporre la verità vuol dire anche cercare di mostrarla (e non necessariamente dimostrarla) in tutte le sue angolazioni, o per meglio dire: sotto tutti i punti di vista, poiché una cosa è tale se resta coerente a se stessa per un determinato tempo/spazio, quindi Marte dio della guerra è una proposizione giusta, ma incompleta e questo forse è anche colpa dell’uomo stesso e della sua semplicistica capacità di accontentarsi con ciò che ritiene facilmente sufficiente.

Yin e lo Yang del tao, dove yin è femminile e yang è maschile.” E fin qui nessun problema, ma cerchiamo di andare oltre la scolastica affermazione riguardo ciò che è di per sé yin e di ciò che è di per sé lo Yang:
Il primo sforzo col quale il nostro intelletto deve fare i conti è la consapevolezza della distinzione della realtà, la quale può facilmente essere divisibile in due: La realtà naturale, ovvero che esiste di per sé in quanto naturale disegno del sommo architetto e la realtà artefatta, quale realtà creata, interpretata e esistente unicamente in relazione all’uomo e al suo intelletto. All’interno di questa realtà che è somma assoluta di essere e non essere possiamo stabilire la presenza degli opposti, diversi cioè dagli opposti assoluti (essere e non essere).
Le scimmie antropomorfe più vicine all’uomo, gli scimpanzé (non dimentichiamo che tra noi e loro ci divide un unico gene), si tramandano elementari e “semplici” tecniche, come quella di aprire una noce schiacciandola fortemente con una pietra attraverso la dimostrazione immediata del fatto e la costante ripetizione del gesto, fino al quasi perfezionamento dello stesso, con il quale gli esemplari più adulti riescono a spaccare le noci con un “semplice”, definitivo colpo!
Semplice, cari lettori, la risposta l’abbiamo sempre avuta e la osserviamo ogni giorno, è la risposta che ci viene dalla natura stessa, dalla nostra stessa natura: l’adattabilità.
Arti marziali. Con questi due termini possiamo raggruppare quell’insieme di tecniche, studi e metodi dai più variegati sapori orientali u occidentali che siano, riguardanti i metodi di combattimento a solo, in gruppo, armati o disarmati; ritrovabili ovunque l’uomo vi abbia portato la propria civiltà. Orbene, questa conoscenza che ha come scopo lo studio ed il raggiungimento di una infallibile efficacia al momento di dover essere applicata in combattimento è per sua stessa natura non soltanto teoria iperuranea quanto praticità immanente e consistente. Un arte marziale che si rispetti, ha quindi il bisogno naturale di essere dimostrabilmente pratica nel caso di doverne fare uso, altrimenti semplicemente non è un arte marziale.
Ora, abbiamo delle discipline che insegnano a combattere e degli studenti che si impegnano ad imparare tali metodi, considerando che un combattimento prevede l’alternanza di fasi di attacco e difesa fino al punto cruciale in cui si stabilisce la supremazia di uno dei due fattori in lotta, si potrebbe concludere che: un praticante di arti marziali, è per sua natura addestrato e pronto ad un ottima difesa di se stesso, ad un efficace difesa personale. E allora… La domanda da un milione di dollari: perché ci sono i fantomatici “corsi di difesa personale, quando abbiamo già le discipline definite appunto Arti Marziali”? Il nichilista che è in me, risponderebbe: Questi corsi di difesa personale esistono per ovvi motivi commerciali, ad un certo punto, quando alla moda dello Judo, s’impose quella del karate, ed al karate il kungfu, poi la kick boxing, e via dicendo, il nostro bisogno di creare mercato e continuare a vendere qualcosa che appaia nuovo, convinsi gli insegnanti a separare i due aspetti, come se ciò fosse logicamente possibile, ed in tal modo venne fuori che le arti marziali erano solo uno stile di vita e tutto quell’insieme di mondezza newage per cui bisognava anche praticare qualcosa di più reale e adatto alla “strada”, inventando nuovi corsi (possibilmente da svolgere in mimetica) dove, togliendo tutta la parte culturale delle originarie arti marziali, si pensassi unicamente all’aspetto “realistico” delle tecniche stesse, infine dando a questi corsi possibilmente un nome improbabile e magari attinente a qualche videogioco in pieno stile virtua fighter, street fighter o tekken e via dicendo.

La sovrastruttura etico morale delle arti marziali, riempie quest’ultime di attributi quasi leggendari quali: calma interiore, rispetto, onore e via dicendo, ma sono questi attributi propri delle discipline marziali? La calma interiore la si trova frequentando un corso di arti marziali due volte la settimana per un massimo di due ore, se proprio dice bene? Se il nostro scopo è la calma interiore, non sarebbe più efficace, al fine del raggiungimento di tale obiettivo, andare in monastero o fare l’eremita in qualche montagna sperduta? Il rispetto, siamo ancora convinti che il rispetto vada insegnato? Non è forse il caso di affermare che esso vada acquistato? Se dovessi iscrivere mio figlio ad un corso di arti marziali per farlo acquisire il senso di rispetto verso gli altri e verso sé stesso, non è forse un affermazione di aver sbagliato in qualità di genitore? Sono sicuro che ho fatto il ragionamento giusto?
Onore. Ahi! Ahi! Ahi! Spesso se sfogliate un qualsiasi sito internet di una qualunque disciplina marziale, noterete come questo povero onore sia spesso sbandierato da tutti, ed è proprio perché tutti ne decantano che nessuno lo possiede. Piccolo particolare: L’onore lo si ottiene servendo, non significa proprio servire la parola Samurai ?** l’onore è proprio di una certa classe sociale, ormai trapassata, hanno o avevano onore i nobili, guerrieri di nascita quindi marzialisti di nascita. E’ noto come nelle maggiori società i commercianti non abbiano l’attributo dell’onore, e non sono proprio dei commercianti i nostri maestri di arti marziali che si fanno pagare la retta mensile?*** Ah, povero onore!
La super forza e super velocità. Diverrete Hulk e Flash allo stesso tempo. Nel mondo della Marvel è Hulk la forza, in quello della DC Flash è la velocità, nel mondo delle arti marziali, se praticate questa arte marziale diverrete entrambi, quindi invece dei vostri bei kimoni*****, mettetevi dei calzoncini strappati e regredite la vostra forma del linguaggio fino a farla diventare primordiale, di certo vi avvicinerete di più ad ottenere questi attributi. Ovviamente il tutto acquisito nel minor tempo possibile e con la minor fatica possibile.
Infine, siamo alla sagra dell’innocenza, l’attributo master, l’attributo great grand master di tutti: I poteri energetici. Già, perché sovente ci si scrive ad un corso di arti marziali come risultato della magica pubblicità fatta dalla maggior parte dei maestri tradizionalisti, ovvero: i poteri energetici, quei poteri ad esempio che fanno cadere gli avversari, stranamente solo i suoi allievi, con un leggero tocco delle dita. Ma ci sono poteri energetici ancora migliori, visibili in quelle esibizioni fachiristiche dove il maestro, appoggia la punta di una lancia in gola e piega l’asta (sempre con l’aiuto dei suoi allievi, strano!) il particolare dov’è? Mbeh la punta di quella lancia è arrotondata ed inoltre non è in acciaio rigido e affilato, le aste di bambù delle lance usate sono assai flessibili e gli allievi, poveretti loro, premono proprio sul punto di rottura dell’asta, strano, no?

Vivere da te e dalla vita che solo in te mi pare di scorgere ormai.
L’ordalica privazione del tuo amore appare quale dannazione, quasi fossi un decaduto Lucifero dalle cicatrizzanti ali, amorfo nell’informe, appassito anche nella morte … un uomo che non ero, un uomo che non sono, un Re divenuto schiavo di quel lieve, molle, ansimare quando in rosso ed in nero il tuo dolce peso si adagia.
E’ la domanda che quotidianamente mi rivolgo allo specchio al mattino, quando dopo aver finito la giornaliera prassi di risveglio, l’angoscia di un nuovo giorno morente mi assale. Dove sono i giorni in cui, in un tuonante silenzio ci allenavamo all’ombra, cupa e quasi sacra, del nostro maestro? Quando, con infinita attesa ci addestravamo per ore, giorni e spesso anche mesi, in un'unica noiosa ed infine, naturale, tecnica. Dove sono i giorni in cui al maestro bastava sollevare un palmo per capire quale Taolu eseguire? I giorni in cui entravamo al kwoon e la prima cosa che facevamo era quella di accendere l’incenso agli antenati, seguiti da tre inchini ritmati dal sottile ticchettio di un orologio analogico in fondo alla sala, la sala dei bronzi e delle giade, la sala dove l’onore abitava quasi fosse un dio in persona. Calpestare quel suolo, senza un morbido tatami, circondato dalle armi affisse ai muri, qualche vecchio libro appoggiato qua e là e l’acre odore dell’incenso che pian piano si faceva strada lungo le narici, la trachea … i polmoni. Dove sono quei giorni? Cosa ci è successo?
Ma dobbiamo pur vivere, no? L’affitto, le spesse di luce, telefono e varietà in necessaria ai fini marziali, vanno coperti, è vero. Perché quindi essere un idealista? Vivere in un iperuranea percezione della virtù marziale, quando essa, da tempo se ne è andata? Perché perderei l’unica cosa che nessuno può togliere, perderei me stesso. Abbandonerei definitivamente la mia spada accanto a quei plebei bastoni. Sarò forse un sognatore, sarò forse contro il comune status quo marziale è vero, ma sarò io e onorerò la mia promessa di servitù al mio maestro, anche nella morte la mia promessa è rimasta, anche quando il maestro è caduto dall’olimpo stesso mostrando l’insegnamento ultimo, mostrando che anche un maestro è un uomo, anche allora, la mia promessa è salda come in quel lontano luglio del 2001. La scuola, non morirà con me, perché vivrà nel cuore di colui che si mostrerà degno, colui che non riceverà l’insegnamento solo perche paga una retta mensile, ma perche la sua nobiltà, il suo innato onore emergerà da sé. Ed è qui che vengono i nodi al pettine, L’onore non lo si acquista né con una cintura nera né con una medaglia vinta. L’onore appartiene a colui che vive nella sua propria spada, quotidianamente, incessantemente, infaticabilmente. Non basta un kimono, né una katana comprata al mercatino dell’usato fatta in serie con l’acciaio più schifoso di tutto il mondo, non basta vestirsi da cinese antico, leggersi due frasi del tao te ching, chiamarsi buddhista e magari essere un novello vegetariano o vegano… non basta dire il bianco è il buono ed il nero è il cattivo. Il nobile animo si dimostra nella propria spada, pur restando semplici uomini dalle infinite difficoltà, paure ed angosce.
Tutto ciò è molto simile ad un piccolo evento storico, quello dei fanatici flagellanti medievali, i quali erano fermamente convinti che l’autoflagellazione a imitazione della passione del loro signore, il cristo, potesse garantire la vicinanza col divino. Nel caso dei nostri marzialisti, la convinzione di raggiungere uno stato guerriero superiore grazie a metodologie di tipo masochistico.